Il turchese, con la sua tonalità che evoca l’immensità del cielo e la profondità spirituale, ha rivestito un ruolo significativo nell’arte antica di diverse civiltà. Questo colore, spesso associato alle divinità e al regno spirituale, era inoltre ritenuto portatore di benedizioni e successo, tanto da essere indossato o impiegato in rituali propiziatori, con la credenza che potesse acuire l’intuizione e la saggezza interiore.

 

Nell’antico Egitto, il turchese era tenuto in grande considerazione e impiegato nella creazione di gioielli, amuleti e decorazioni parietali. Considerato un potente amuleto protettivo contro il malocchio e gli incidenti, veniva chiamato “mefkat” e associato alla dea Hathor, simbolo di gioia e fertilità. I faraoni ornavano le proprie vesti con gioielli di turchese come protezione sia nella vita terrena che nell’aldilà, una ragione per cui lo si ritrova frequentemente nei corredi funerari.

Per le civiltà azteca e maya, il turchese, denominato “xihuitl” in lingua nahuatl, era strettamente legato all’acqua e al cielo, rappresentando la vita stessa e venendo utilizzato in cerimonie rituali per invocare la pioggia. Gli sciamani lo veneravano come una pietra sacra che facilitava la comunicazione con le divinità e offriva protezione durante i viaggi spirituali.

Nelle culture persiane e mediorientali, il turchese, noto come “piruzeh”, era ritenuto un talismano protettivo per i cavalieri, preservandoli dalle cadute. Si narrava che avesse la capacità di mutare colore per preannunciare pericoli imminenti o tradimenti al suo possessore. Spesso veniva inciso con versetti del Corano per potenziarne le virtù protettive e trovava ampio impiego nell’architettura, in particolare nelle maestose cupole e nelle intricate decorazioni delle moschee.

Le popolazioni native americane, specialmente i Navajo e gli Apache, consideravano il turchese una scheggia di cielo discesa sulla terra. Lo chiamavano “la pietra della vita” e credevano che agevolasse la comunicazione con il mondo degli spiriti, impiegandolo diffusamente nei loro gioielli e oggetti rituali. I guerrieri lo indossavano come scudo protettivo in battaglia e per affinare la loro mira, mentre i guaritori lo utilizzavano per trattare diverse malattie, in particolare quelle che affliggevano gli occhi e lo stomaco.

In Tibet e Nepal, il turchese era venerato come simbolo di prosperità e salute. Si pensava che connettesse il cielo e la terra, offrendo una barriera contro le energie negative. I monaci buddisti ne facevano uso durante la meditazione per favorire la chiarezza mentale e la concentrazione.

 

Anche la medicina tradizionale cinese attribuiva al turchese un significato specifico, associandolo all’elemento legno e al fegato. Gli si riconoscevano proprietà purificanti e depurative, con la capacità di assorbire le energie negative dal corpo.

Il turchese fece la sua comparsa anche nei lussuosi manoscritti miniati medievali europei, dove i pigmenti dalle tonalità blu-verdi erano particolarmente apprezzati per la loro preziosità. Nelle imponenti cattedrali gotiche, le vetrate colorate incorporavano sfumature turchesi per simboleggiare una manifestazione della presenza divina, evocando elementi come l’acqua battesimale e la purificazione spirituale.

Nell’Ottocento, gli artisti impressionisti riscoprirono la vibrante bellezza del turchese nelle loro rappresentazioni dell’acqua e del cielo. Claude Monet, in particolare, impiegò sapienti tonalità turchesi per catturare i giochi di luce riflessa sulle superfici acquatiche.

Durante il movimento Art Nouveau di fine Ottocento, il turchese divenne un colore distintivo e iconico, splendidamente visibile nei raffinati gioielli di René Lalique e nelle iridescenti vetrate di Louis Comfort Tiffany.

 

In definitiva, il turchese trascende la sua mera bellezza gemmologica, configurandosi come un materiale intriso di una profonda storia e di un ricco significato culturale e artistico che ha saputo attraversare millenni, continuando a nutrire e ispirare la creatività umana.

 

  • “The Turquoise” di Joseph E. Pogue (1915): Un classico studio esaustivo sulla storia, la mineralogia, la geologia, l’etnologia, l’archeologia, la mitologia, il folklore e la tecnologia del turchese. Anche se datato, rimane una risorsa fondamentale.
  • “Turquoise: The Gem of the Centuries” di Oscar T. Branson (1975): Offre una panoramica completa sulla storia, le proprietà e l’uso del turchese in diverse culture.
  • “Antropologia del turchese” di Ellen Meloy (2003, traduzione italiana 2020): Un’opera che intreccia riflessioni personali sul paesaggio del Sud-ovest americano con la storia culturale e il significato del turchese in quella regione.
  • “La vena di turchese. Memoir” di Leslie Marmon Silko (1996, traduzione italiana 2000): Un’autobiografia che esplora la storia familiare dell’autrice e quella del popolo Pueblo Laguna del New Mexico, con il turchese come filo conduttore culturale e spirituale.