Di Marina Gellona

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Un supermercato di parole magiche che sarebbe piaciuto a Andy Warhol

Non me ne voglia Andy (Warhol), ma oggi voglio parlare di un’altra lattina, non della solita o meglio classica lattina dell’inventore della Pop art.

Voglio parlare di Anima lattina dei Coma_Cose.

Anzi, facciamo così, ascoltatela e dopo ne parliamo.

 

 

Bella, no? Beh, un po’ deve piacere il genere e sto parlando delle parole, perché per la musica meglio lasciare spazio a chi se ne intende di più, chi riconosce il rap qua, il grunge là, l’indie-questo-e-quello. (Ad esempio, loro)

Io voglio parlare dello stupore che ho provato nell’ascoltare il modo in cui Fausto e Francesca accendono le parole, sfregando le une contro le altre come un fiammifero sulla sua scatola L’effetto: illuminano immagini inedite, trasformano oggetti – e soggetti – quotidiani in qualcosa di diverso, ne fanno: una radiografia poetica. (E anche un po’ un’archeologia poetica, perché, in controluce, questa canzone si rifà ad Anima latina di Battisti, così come molti altri loro pezzi sono ricchi di riferimenti a musiche e parole del passato, radici, affetti, ingredienti di nuove visioni, personali, popolari, autentiche).

Andy Warhol faceva serigrafie partendo dalle fotografie di prodotti e protagonisti del suo tempo; portava in superficie l’anima di un’epoca dal profondo di una lattina di zuppa o di Coca-Cola, i Coma_Cose fanno radiografie poetiche alle nostre vite, agli oggetti che ci sono nei nostri armadi, alle lattine, appunto, di birra e riescono a cogliere l’intimità di senso che si nasconde qui e là; ne riportano frammenti lucenti, notturni, coloratissimi, generando un effetto, in me, che è simile a quello che provo quando vedo un collage d’artista. Ecco, non so voi, ma io adoro l’arte dei collage e non mi sembra così diverso il gesto che fanno i Coma_Cose con le parole, nelle loro canzoni.

 

Sotto un cielo blu stellato anice
Con una lattina come calice

(…)

Ne apro una da 66
Che poi sono gli anni di mio papà
Aveva gli occhi tristi
E in macchina Battisti
Guidare verso Jesolo
Le mani sul volante
Erano grandi come le zampe di un leone

Parlare e bere birra fino alla mattina
Abbiamo un’anima lattina
Sempre che abbiamo un’anima

 

Se amate i collage, tra l’altro, guardate questa artista che propone, ogni giorno, per 365 giorni, un’immagine che chi segue la pagina può reinventare con un collage e mandare all’artista. Lei, il giorno dopo e una volta al mese, li pubblica in una gallery. (Sembra proprio che l’arancione sia uno dei suoi colori preferiti).

 

 

Tra i miei collage poetici preferiti dei Coma_Cose ci sono quelli di altre due canzoni: Mancarsi e Granata.

In Mancarsi, dicono così:

 

Partiti da lontano senza niente
Ma in questo mondo, sai, bisogna farseli (money, money)
Però chi ha troppo grano attorno
Probabilmente è uno spaventapasseri

 

e ancora:

 

Che schifo avere rimpianti

Però quant’è bello avere paura
La strada è solo una riga di matita
Che trucca gli occhi alla pianura

 

A me piace così tanto, questa frase: quant’è bello avere paura… quella paura del nuovo, almeno, paura-attrazione, paura e incanto di conoscere il mondo ignoto, che si trasforma in un arco che traduce il viaggio in sguardo.

 

E poi, in Granata, c’è questa cosa stupenda sui sentimenti:

Non mi ricordo cosa ho fatto ieri
Ma so capire i sentimenti veri
Sono quelli che lavorano di notte come i panettieri

 

Non so, non c’è bisogno di commentare, vero? Com’è difficile parlare dei sentimenti senza dire sempre le stesse, ma proprio le stesse cose. Ecco, i Coma_Cose prendono le cose di sempre, ma importanti per tutti, e ci tirano fuori non solo una frase ma proprio una visione della vita come questa, sui sentimenti veri.

Forse chi non li conosceva, ora, li ha riconosciuti, sono quelli che hanno cantato Fiamme negli occhi all’ultimo Festival di Sanremo, che io non ho guardato ma del quale mi è arrivato un commento di un amico cantautore che ha scritto sui social una frase che suonava più o meno così: tanta paccottiglia luccicante e falsa e poi loro, i Coma_Cose che hanno portato l’unico attimo di verità.

Ecco, questo commento ha acceso la mia curiosità e sono entrata in questo loro paese delle (parole e delle) meraviglie.

E, regalo per le neofite come me, proprio nei giorni in cui ascoltavo tutte le loro canzoni degli ultimi anni, Deserto, Post-concerto, Squali… scoprivo che stava per uscire il nuovo disco e cominciavo ad aspettarlo come quando da ragazzina aspettavo quelli dei miei gruppi preferiti.

Il 16 aprile a mezzanotte è uscito Nostralgia che già dal titolo è un dolce gioco di parole.

 

 

L’album è bellissimo, ma c’è una canzone su tutte che mi ha stregata, commossa, portata nella notte e nei suoi colori, nei suoi vuoti a rendere e nei vuoti che non si possono rendere a nessuno, se non al perdono, all’oblio, al sogno: Zombie al Carrefour

 

Ho sentito soltanto il bisogno di fare (eh)
Qualcosa di buono, qualcosa di normale (normale)
Pur di non ritornare a casa, dove vivono i sensi di colpa
Ho preferito lasciarli da soli
Come si fa coi genitori quando si cresce
Per poi trovarsi alle cinque tra gli zombie al Carrefour

 

Forse a Andy (Warhol) sarebbe piaciuto il supermercato dei Coma_Cose, pieno di anime lattine e di zombie sentimentali.

Forse qualcuna di voi, lettrici di Sognosoloacolori, si chiederà: ma cosa c’entra l’arancione con i Coma_Cose? Lo scoprirete conoscendoli… fidatevi, seguite le parole e la musica, e troverete il colore.

Se invece volete saperne di più della loro storia e della loro relazione artistica e nella vita, potete leggere questa bella intervista, recentissima, a cura di Micol Sarfatti.

Ehi, ultima coma_cosa: anche l’autorevole Treccani si è occupata dei versi dei Coma_Cose, magari chi di voi insegna può portarli in classe, secondo me accanto a Giacomo (Leopardi) o a Ugo (Foscolo) starebbero benissimo.

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Marina Gellona

Da bambina, come tante, amavo la formula magica con cui si chiudono quasi tutte le fiabe: “e vissero tutti felici e contenti”. Crescendo ho capito che il lieto fine non si verifica con facilità, in nessun ambito della vita: e per un periodo non l’ho presa bene. Mi sono laureata in filosofia con molte domande esistenziali in testa, ho lavorato per il commercio equo, ho vissuto Genova durante il G8 del 2001 e ho cercato uno strumento interpretativo ulteriore: la narrazione.

Espressione contro repressione era il mio mantra, quando mi sono iscritta alla Scuola Holden di tecniche della narrazione. Da allora mi impegno in ricerche e progetti legati al raccontare: dal 2003 insegno una forma di narrazione molto particolare, quella che si scrive ascoltando le persone che raccontano la propria vita o un’esperienza significativa; poi insegno giornalismo per bambini, manutenzione della creatività e scrittura fiabesca. Ho pubblicato racconti; scrivo per alcune riviste, sono giornalista pubblicista. Curo il progetto Infinito8marzo, che dà voce alle donne intervistandole per le strade della mia città, Torino. Le fiabe sono tornate nella mia vita e sono, a volte, tema delle mie lezioni: non ho ancora trovato la formula magica, ma conosco e insegno il potere conoscitivo e sociale delle storie ben raccontate. Qualunque sia il loro finale.

A maggio 2020 è uscito il mio libro Ascoltare e narrare le vite degli altri. Oltre gli stereotipi, i silenzi, le ingiustizie per Dino Audino Editore.