Di Michela Scomazzon Galdi

***

A piedi e con cuore leggero m’avvio

per la libera strada,

in piena salute e fiducia, il mondo

offertomi innanzi,

il lungo sentiero marrone pronto a

condurmi ovunque voglia

(Walt Withman)

 

Una buona metà dell’arte

di vivere è resilienza

(Alan de Botton)

 

Con Ottobre diamo il nostro benvenuto all’autunno. Uno dei colori caratteristici di questa meravigliosa stagione è il marrone, filo conduttore di questo mese per Sognosoloacolori insieme alla parola resilienza.

Samya Ilaria Di Donato, nel suo “Il grande Manuale. La saggezza dei colori”, Uno Edizioni, ci spiega che il marrone è il colore della Madre Terra, legato all’archetipo dell’Orfano. Il colore marrone ci riporta “al cammino archetipico della nostra anima, legata alla Madre Terra come un infante alla mamma”.

E chi più della Madre Terra dimostra ogni giorno resilienza? (in fisica, la capacità di assorbire un urto senza rompersi). Noi esseri umani ormai da molto, troppo tempo, stiamo distruggendo il nostro Pianeta ma esso assorbe i traumi e, per ora, resiste. Ma ogni tanto ci dà un segnale.

Insieme al colore marrone ed al concetto di resilienza viaggerete con me (siete pronte, vero?) in una terra – l’Australia – che è il 6° Paese al mondo per estensione e la cui popolazione (circa 25 milioni di abitanti), vive quasi interamente sulle coste. Popolata per oltre 40.000 anni dagli aborigeni e colonizzata a partire dal XVIII secolo dal Regno Unito, l’Australia è un Paese multietnico: non solo australiani (gli “aussie”), ma aborigeni, europei, asiatici, americani.

In Australia la Natura predomina: circondata completamente dall’oceano, ha un clima temperato solo nelle regioni sud-orientali e sud-occidentali, dove si concentra la maggior parte degli abitanti. Il nord ha un clima tropicale ed è caratterizzato da foreste pluviali, praterie e boschi mentre il centro – l’outback – è una vasta area semidesertica e scarsamente popolata, dove si trova anche il famoso Uluru, l’enorme monolite di roccia rossa, la cui formazione si pensa risalga a circa 550 milioni di anni fa. Sacro per gli aborigeni ed a loro riconsegnato dal governo australiano nel 1985. Uluru ha un ruolo molto importante nella mitologia del Dreamtime (Era del sogno), tipica delle popolazioni del luogo. Le storie del Dreamtime sono rappresentate nei dipinti rupestri di cui è pieno Uluru, talmente sacro per gli aborigeni che essi ne sconsigliano la scalata ai turisti.

Un altro luogo spettacolare che vale un viaggio in Australia è la grande barriera corallina, che si dispiega per oltre 2000 km sulla costa orientale del Queensland.

In Australia, Paese affascinante e ricco di contrasti, dalla faticosa convivenza degli uomini bianchi con i ritmi di una terra antica inconoscibile da una mente positivista, dove gli orologi con il loro incedere meccanico si incontrano/scontrano con la sensibilità e la spiritualità degli aborigeni, è ambientato “Picnic ad Hanging Rock”, terzo romanzo della scrittrice e pittrice australiana Joan Lindsay, uscito in patria nel 1967, pubblicato in Italia nel 1993 e ripubblicato da Sellerio l’anno scorso.

 

 

Per molti di voi sarà forse una prima lettura; per altri, una ri-lettura ma certamente la storia raccontata nel libro è conosciuta da un numero considerevole di persone grazie al film, dall’omonimo titolo, realizzato nel 1975 dal regista australiano Peter Weir, film che inaugurò – e decretò il successo – della cinematografia australiana.

Il romanzo “Picnic ad Hanging Rock” ha fatto del mistero il suo cuore pulsante (d’altronde, sembrerebbe che la Lindsay fosse parecchio interessata all’occultismo…).

Già nell’introduzione al primo capitolo la scrittrice stuzzica abilmente la nostra curiosità:

“Se Picnic ad Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per conto proprio. Poiché quel fatidico picnic ebbe luogo nell’anno 1900 e tutti i personaggi che compaiono nel libro sono morti da molto tempo, la cosa pare non abbia molta importanza”.

La vicenda raccontata inizia nel 1900, il 14 febbraio, in Australia un mese estivo:

Furono tutti d’accordo che era proprio la giornata adatta per il picnic ad Hanging Rock: una splendida mattina d’estate, calda e quieta, con le cicale che durante tutta la colazione stridevano tra i nespoli davanti le finestre della sala da pranzo e le api che ronzavano sopra le viole del pensiero lungo il viale. Le dalie fiammeggiavano e chinavano il capo pesante nelle aiuole impeccabili, i prati ineccepibilmente rasati esalavano vapore sotto il sole che si levava”.

Ci troviamo all’Appleyard College, un collegio per signorine di buone famiglia, gestito con severità ed un mal velata cattiveria dalla vedova Appleyard, arrivata  dall’Inghilterra con cospicui risparmi e lettere di presentazione per le più importanti famiglie australiane. La costruzione del collegio, uno sgraziato edificio a due piani con un orribile arredamento vittoriano, costruita in una distesa pianeggiante a poche miglia dal villaggio di Macedon, è attrezzata con orto, giardino, porcile e pollaio, frutteto e campi da tennis, tutto in perfetto ordine grazie al lavoro del giardiniere inglese signor Whitehead.

Le ragazze sono in piedi dalle sei del mattino, le vediamo vestite a festa, elettrizzate non soltanto per l’imminente gita ma perché nel giorno di San Valentino è tradizione scambiarsi bigliettini e piccoli doni. La Lindsay ci presenta le giovani alunne con tocchi da pittrice: Miranda, “dal sereno volto ovale” e con “i capelli lisci e biondi come il grano”; Edith, “una quattordicenne dalla faccia flaccida e la sagoma di un cuscino troppo imbottitoe…“brutta come una rana”; Marion,dalle idee straordinarie” e che “si diceva avesse imparato a fare le divisioni ancora nella culla”; Irma, dalle “labbra rosse e carnose, gli occhi neri e impertinenti e i riccioli neri”, giovane ereditiera che “non provava alcuna ambizione personale né orgoglio per la sua ricchezza”; la piccola orfana Sara, punita dalla maligna direttrice che le aveva vietato di partecipare all’agognato picnic.

 

 

E poi ci sono le istitutrici: la signorina Lumley, “miope, che portava eternamente un vestito di saia marrone e scarpe senza tacchi”; Madamoiselle de Poitiers, l’insegnante di danza e conversazione francese, appena di pochi anni maggiore delle sue alunne, “altrettanto eccitata dalla prospettiva di evadere dalla soffocante routine del collegio”; la signorina MacGraw, l’insegnante di origine scozzese, “donna alta, dalla pelle secca color ocra e con ispidi capelli grigi”, si era assunta la responsabilità del picnic, assistita dall’insegnante di francese, soltanto per senso del dovere. Brillante matematica, in realtà “avrebbe dato un biglietto da cinque sterline per trascorrere quella preziosa giornata di vacanza, per quanto il tempo fosse splendido, chiusa nella sua stanza con un affascinante trattato sul calcolo”.

Per ultima, ma non certo per importanza nella storia, la signora Appleyard, direttrice del collegio, con “la sua torreggiante pettinatura alla Pompadour, tendente al grigio, con l’ampio petto rigorosamente controllato e disciplinato, in concomitanza con le aspirazioni private, con il ritratto a cammeo del defunto marito esibito sul rispettabile seno”. La direttrice disapprovare San Valentino ed i suoi ridicoli bigliettini ed era l’unica abitante del collegio che non ne riceveva!

Ora ci accorgiamo che le alunne e le istitutrici sono pronte: la signorina McGraw, con il suo bizzarro guardaroba (cappellini della domenica, stivaletti neri, mantella color pulce); Madamoiselle, arbitro dell’eleganza, con anello di turchese e guanti di seta bianca; le ragazze con l’ingombrante abbigliamento vittoriano (stretti corsetti, sottane voluminose, calze di cotone e stivaletti). La carrozza, trainata da cinque splendidi cavalli bai perfettamente addestrati è davanti al cancello con il signor Hussey a cassetta. Mr. Hussey, dagli occhi azzurri e gentili, e che ha servito il collegio in tutte le occasioni importanti, compresa la grandiosa inaugurazione, è amato da tutti e persino la signora Appleyard lo chiama il suo “brav’uomo” ed a volte lo invita nello studio a bere sherry.

Tutto è pronto per la gita: le tre allieve più anziane – Miranda, Irma e Marion – siedono a cassetta accanto al cocchiere e da dentro la carrozza la signorina McGraw, assumendo il comando, ordina ad Hussey “può andare”!

Presto il collegio scompare alla vista, la scheletrica foresta di eucalipti costeggia la strada su entrambi i lati, la casetta dei Compton, che rifornivano il collegio di gelatine e marmellate, è superata.

Ora – ci avvisa la Lindsay – “prende il sopravvento la sensazione di un’imminente avventura”.

L’aria è polverosa, si comincia ad intravedere il Monte Macedon e le ragazze, abituate al silenzio imposto nel collegio, diventano “cinguettanti e loquaci come cocorite”. Dentro la vettura fa sempre più caldo, le giovani si sfilano i guanti e chiedono alle insegnanti se possono togliersi anche il cappello. Ma la signorina McGraw, che non riesce a discostarsi né dalla dura logica né dalla morale vittoriana, risponde severa che non è possibile e “non è perché siamo in gita che dobbiamo sembrare un carrozzone di zingari”.

Dopo una breve sosta rigenerante con limonata e biscotti, tutte risalgono sulla carrozza riprende il cammino. Sulla strada ora non c’è alcun viandante, non si sente alcun canto di uccello; anche le ragazze, a poco a poco e senza accorgersene, diventano silenziose. E, finalmente, appare spaventosa e all’improvviso Hanging Rock: grigia massa vulcanica, con lastre e pinnacoli come una fortezza, sorge dalla deserta pianura gialla. Il signor Hussey, che si è documentato, informa che è “più di centocinquanta metri di altezza, vulcanica, con diversi monoliti, vecchia di milioni di anni”.

Dopo un altro miglio e mezzo, la carrozza arriva finalmente ai piedi di Hanging Rock e, dopo un cancello, entra nel terreno attrezzato per i picnic. Ora il signor Hussey “nella migliore disposizione d’animo alla vacanza, guidava i cinque cavalli bai fuori dal noto, sicuro presente verso l’ignoto futuro”.

In una zona vicino ad un fiumicello e ad alcune pietre piatte, la colazione viene apparecchiata su ampie tovaglie bianche, riparate dal sole da alcuni alberi della gomma. Dai panieri escono pasticcio di pollo, biscotti, gelatine di frutta, banane e una bella torta gelato a forma di cuore preparata dalla cuoca per festeggiare San Valentino; il signor Hussey fa bollire due pentoloni di tè e si mette a fumare la pipa all’ombra della carrozza. Non lontano dalle ragazze e dalle insegnanti, si trova solo un gruppetto di tre o quattro persone sedute sotto alcune acacie dall’altra parte del piccolo fiume.

Edith, che si sta rimpinzando di panna, osserva che se non ci fossero quelle persone sedute poco distanti, loro sarebbero le uniche creature viventi sull’intero pianeta e dice a Marion: “com’è spaventosamente tranquillo questo luogo”.

Ma, a differenza di Edith, che ormai sappiamo non brilli per intelligenza, ci accorgiamo che le voci della Natura, apparentemente silenziose ed  invisibili, in realtà stanno parlando con insistenza:

“I pendii soleggiati e la boscaglia in ombra, per Edith così quieti e silenziosi, brulicavano di fruscii e cinguettii non uditi, di zuffe e graffi, del tocco leggero di ali invisibili. Foglie, fiori ed erbe scintillavano e tremolavano sotto la volta luminosa, ombre di nuvole suscitavano un pulviscolo d’oro danzante sopra lo stagno, dove i tidischi sfrecciavano veloci. Sui pietroni e nell’erba le diligenti formiche attraversano minuscoli deserti di arida sabbia”.

Le ragazze, ormai sazie ed assonnate, poltrivano all’ombra ma la Lindsay sottolinea che erano “isolate dal naturale contatto con la terra, l’aria e la luce del sole” a causa del loro severo abbigliamento (stretti corsetti, ampi vestiti e sottane, calze e stivaletti) e ci fa notare che “non facevano parte dell’ambiente più di quanto ne facciano parte le figure di un album di fotografie messe in posa a capriccio su un fondale con rocce di sughero e alberi di cartone”.

L’atmosfera è tranquilla e rilassata. Riempito lo stomaco di cibi prelibati, tutte le alunne si predispongono a godersi il pomeriggio: chi riposando, chi passeggiando ma con il divieto di allontanarsi oltre la vista della carrozza. Nonostante la libertà della giornata, le regole del collegio non spariscono ed il signor Hussey comunica a Madamoiselle che vorrebbe ripartire non oltre le cinque per tornare al collegio in tempo per l’ora di cena. Ma il cocchiere informa l’insegnante che il suo orologio – il suo vecchio cipollone – si è fermato a mezzogiorno, “proprio oggi con tutti i giorni che ci sono in un dannato anno”.

Ma neanche Madamoiselle può sapere l’ora, perché il suo orologio francese è in riparazione.

La signorina McGraw, fino a quel momento immersa in un libro, sentendo la conversazione lo chiude con riluttanza e guarda il suo antiquato orologio con catena d’oro ma la sentiamo commentare con stupore (perché la sentite anche voi, vero?): “Fermo a mezzogiorno. Mai successo prima”. Il signor Hussey, da uomo pratico, osserva l’ombra della montagna e decide che dovranno ripartire entro un’ora.

Nel sentire che possono rimanere lì ancora soltanto un’ora, Marion – che vuole prendere alcune misurazioni alla base della Roccia – insieme a Miranda, Irma ed Edith chiede il permesso di vedere Hanging Rock più da vicino.

Prima di allontanarsi verso il fiumicello, Miranda  rassicura  Madamoiselle e le dice con sicurezza “staremo via pochissimo”.

Saranno le ultime parole di Miranda, dolce ragazza dall’ovale botticelliano e dai capelli color del grano: quasi una ninfa…

Di lei e di Marion non si saprà mai più nulla.

Misteriosamente scomparse ad Hanging Rock, insieme alla signorina McGraw che, inspiegabilmente, le aveva seguite.

Edith tornerà indietro in preda ad un attacco isterico non ricordando nulla di ciò che probabilmente aveva visto. Irma, l’ereditiera dai riccioli neri, sarà ritrovata sulla Roccia dopo una settimana, con le unghie tutte spezzate ed i piedi nudi inspiegabilmente puliti. Interrogata più volte dalla polizia non ricorderà mai cosa successe ad Hanging Rock.

Il libro termina con un estratto da un articolo di un giornale di Melbourne del 14 febbraio di 13 anni dopo che lascia aperto l’enigma della sparizione.

 

 

Eppure…

Eppure, un diverso finale esiste.

Siete curiose? Vi state chiedendo di quale finale io stia parlando?

Sappiamo che l’autrice, al momento della pubblicazione del libro, aveva acconsentito alla richiesta dell’editore di omettere l’ultimo capitolo del romanzo: il diciottesimo. L’editore ritenne preferibile, per motivi commerciali, un finale senza spiegazioni ed avvolto nel mistero. Ma la Lindsay, nel rimaneggiare il libro dopo aver eliminato l’ultimo capitolo, ne lasciò alcune tracce nel terzo.

Per volere della Lindsay, il diciottesimo capitolo vide la luce solo dopo la sua morte, come parte centrale di un libricino dal titolo “The secrets of Hanging Rock” che uscì nel 1987.

Purtroppo il libro, mai tradotto in Italia, è ormai fuori commercio e quasi del tutto introvabile. E tutt’oggi, i numerosi turisti ammaliati dall’enigma della sparizione delle ragazze, quando salgono ad Hanging Rock chiamano a gran voce “Miranda”.

Sono sicura che adesso sarete in tante a sentirvi un po’ Miss Marple ed a voler risolvere a tutti i costi il mistero di Hanging Rock.

Avete bisogno di un indizio? Posso dirvi solo che il web è grande e… chi cerca trova.

Buona lettura e, soprattutto, buona indagine!

 

Picnic ad Hanging Rock

di Joan Lindsay

Casa Editrice italiana: Sellerio

Genere: Romanzo

Anno Pubblicazione in Australia: 1967

Anno Pubblicazione in Italia: 1993

Pagine: 281

 

 

Joan Lindsay

Nata Joan a’Beckett Weigall  in Australia nel 1896, nel 1822 sposò a Londra Daryl Lindsay, pittore di discreto successo. Scrittrice, pittrice, commediografa, scrisse articoli, recensioni e racconti pubblicati su varie riviste di arte, letteratura e società. Picnic ad Hanging Rock, suo terzo romanzo, le diede la fama. Poiché lei ed il marito non ebbero figli, lasciarono in eredità la loro casa, Mulberry Hill, al National Trust, che l’ha aperta al pubblico.

 

… E se desiderate anche una novità libraria:

Vi consiglio il romanzo “Il weekend”, NN Editore, della scrittrice australiana Charlotte Wood

 

 

Libri e… 

La prima tazza inumidisce

 le mie labbra e la mia gola,

La seconda allontana

la mia solitudine,

La terza fa scomparire la

pesantezza del mio spirito

(Lu Tung, Canto del tè)

 

 

La cultura britannica del tè, importata con l’arrivo dei colonizzatori inglesi, è diventata una grande tradizione anche in Australia. In realtà, esistono testimonianze di bevande aborigene molto antiche realizzate con infusi di piante simili al tè.

Per accompagnare l’affascinante lettura di Picnic ad Hanging Rock e per farvi immedesimare maggiormente nell’atmosfera del romanzo e del continente australiano, vi consiglio il Tè Billy, un tè nero molto intenso che viene realizzato con foglie di tè unite a foglie di eucalipto (sono certa che proprio in questo momento state vedendo dei koala che si arrampicano su questi alberi altissimi). Io ho adorato sin da piccola questi simpatici animaletti e udite, udite, conservo ancora con tenerezza e cura un koala di peluche che mi fu regalato da mio padre quando ero bambina!

Tornando al nostro tè nero, ha un colore molto intenso mentre il sapore di eucalipto rimane molto bilanciato.

 

Curiosità

  • Il billy” (o billycan) è una grande lattina che una volta svuotata viene utilizzata come bollitore;
  • In Australia il tè delle cinque è accompagnato sia dal dolce che dal salato (compreso il caviale!).

Marca: Billy Tea

Confezione: bustine monodose

Tempo di infusione: 2-3 minuti

 

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Michela Scomazzon Galdi

Mi chiamo Michela e mi occupo di comunicazione e uffici stampa nel settore culturale perché credo che la cultura, oltre a donare bellezza, possa contribuire al dialogo interculturale e alla pace.

Promuovo e comunico i tuoi eventi culturali, rendendoli unici attraverso il fascino dei colori.