Di Michela Scomazzon Galdi

***

L’azzurro. Questo colore esercita

sull’occhio un’azione singolare e quasi

inesprimibile. Esso è, nell’aspetto, una

contraddizione composta

 di eccitazione e pace

 (J. W. Goethe)

 

Il mare è tutto azzurro.

Il mare è tutto calmo.

Nel cuore è quasi un urlo di gioia

(Sandro Penna)

 

Sono davanti al foglio di carta (sì, la prima bozza è sempre cartacea!) e, in un attimo, mi trovo sulla spiaggia. È l’ora di pranzo, l’ora in cui da bambina prediligevo stare al mare; i raggi del sole bruciano sulla mia pelle ed illuminano l’acqua azzurra. Mi tuffo, godo del calore del sole, della libertà nell’acqua. Divento un pesce, una sirena, sono un’anima libera.

Torno indietro nel tempo. Sono a San Felice Circeo, un paese di mare a 100 km da Roma dove ho trascorso tutte le estati da quando sono nata sino ai 10-11 anni.

È il mio luogo del cuore: i ricordi più belli e più dolci provengono da lì, da San Felice: con le sue spiagge dorate, gli scogli (“attenta a non farti male” gridava la mamma! E dovevamo metterci le scarpette di gomma: vi ricordate?), il porto, il magico faro, raggiungere la croce, dopo una bella scarpinata in montagna, fatta centinaia di volte con mio fratello, mia cugina, mio zio.

San Felice, uno dei tanti luoghi di mare – sono certa che tutte ne avete uno nel cuore – accoccolato sul Mar Mediterraneo: Mediterraneus, dal latino “in mezzo alle terre”; Mare nostrum come lo chiamavano i Romani che conquistarono tutte le regioni affacciate sul Mediterraneo. Vero e proprio ponte tra i territori, culla delle più antiche civiltà; mare di incontri, di commerci, di viaggi, di cultura, di pirati, di sirene, di sogni: Jules Verne, in “Ventimila leghe sotto i mari”  lo descrive così:

Il Mediterraneo, il mare azzurro per eccellenza, il grande mare degli Ebrei, il mare nostrum dei Romani, contornato d’aranceti, aloe, cactus, pini marittimi, olezzante di mirto, incorniciato d’aspre giogaie, vivificato da un’aria pura e limpida ma sempre minacciato dal fuoco sotterraneo, è un campo di battaglia in cui Nettuno e Plutone si contendono la sovranità del mondo”.

Mai come in questo periodo di quarantena nel quale sto scrivendo, durante il quale è ancora difficile immaginare se, dove e come trascorreremo le vacanze, è dolce ricordare le nostre passate estati al mare, magari proprio quelle di quando eravamo bambine. Ricordare le nuotate con pinne e maschera, il secchiello e la paletta colorati, i castelli di sabbia, i giochi sulla spiaggia; le passeggiate la sera sul lungomare (come mi sentivo grande a camminare con un gelato in mano ed i miei affetti più cari sotto lo sguardo sornione e complice della luna, che illuminava la nostra serenità, l’innocenza, lo sguardo sul futuro, i nostri sogni).

E allora… sogniamo anche ora!

Sogniamo e viaggiamo con il mezzo più potente, i libri, che ci permettono di spostarci, di conoscere altre persone, altre lingue, di attraversare epoche e luoghi diversi, aspirandone i profumi e godendo di una miriade di colori.

 

 

Oggi, per l’azzurro mediterraneo di Sognosoloacolori, vi porto con me in un’isola – Corfù – una delle più belle della Grecia, piena di azzurro, di sole, di luce, di colori: mare cristallino, natura incontaminata, storia, cultura, leggende. Corfù o Kérkyra, secondo la mitologia classica il suo nome si deve alla ninfa Corfù, amata da Zeus; dalla loro unione nacque Phaiakas: per questo Corfù è nota anche come l’isola dei Faiakes, i Feaci. Un’isola dalla natura incontaminata – mare trasparente; spiagge sabbiose o rocciose; incantevoli baie; panorami verdeggianti ricchi di alberi di ulivo – ma anche ricca di storia poiché ha vissuto varie dominazioni: gli Angioini, la Repubblica Veneziana (dal XIV alla fine del XVIII secolo), gli inglesi, i francesi.

Le isole hanno sempre affascinato lettori e scrittori, basti pensare al poema “progenitore” della letteratura di avventura: l’Odissea di Omero. Ulisse, nato in un’isola, percorrerà nelle sue peripezie gran parte delle isole reali o immaginarie del Mediterraneo ma il suo viaggio terminerà ad Itaca, l’isola più cara e familiare, quella natale. Corfù, come ci racconta Omero nel libro VI dell’Odissea, fu anche teatro dell’amore tra Ulisse, sbarcato sull’isola dei Feaci dopo un naufragio, e Nausicaa – la figlia del re Alcinoo – che si prese cura di lui e gli donò una nave per tornare ad Itaca. Ecco il loro incontro:

 “Così Odisseo tra le fanciulle bei riccioli stava

per mescolarsi, nudo: perché aveva bisogno.

Pauroso apparve a quelle, orrido di salsedine,

fuggirono qua e là per le lingue di spiaggia.

Sola, la figlia di Alcinoo restò, perché Atena

le infuse coraggio nel cuore, e il tremore delle membra le tolse.

Dritta stette, aspettandolo; e fu in dubbio Odisseo

se le ginocchia afferrandole, pregar la fanciulla occhi belli,

o con parole di miele, fermo così, da lontano,

pregarla che la città gli insegnasse e gli desse una veste.

Così pensando, gli parve cosa migliore

pregar di  lontano con parole di miele,

ché a toccarle i ginocchi non si sdegnasse in cuore la vergine.

Subito dolce e accorta parola parlò:

Io mi t’inchino, signora: sei dea o sei mortale?”

Dal Settecento, con lo sviluppo del romanzo di avventura, le isole sono diventate l’archetipo di un luogo fuori dalla società, in cui vivere ai ritmi della natura; luoghi così lontani dalla terraferma da diventare magici, quasi un paradiso terrestre.

Ed è nel paradiso terrestre di Corfù che Gerald Durrell, naturalista britannico, ambienta il suo romanzo autobiografico “La mia famiglia ed altri animali” (My family and others animals), pubblicato per la prima volta in patria nel 1956 ed in Italia da Adelphi nel 1975. Primo suo romanzo, fa parte della trilogia di Corfù insieme a “L’isola degli animali” e “Il giardino degli dei”.

 

 

Il libro rievoca l’infanzia di Gerald Durrell, futuro biologo e zoologo, trascorsa dal 1935 al 1939 a Corfù:

Questa è la storia dei cinque anni che ho trascorso da ragazzo, con la mia famiglia, nell’isola greca di Corfù. In origine doveva essere un resoconto blandamente nostalgico della storia naturale dell’isola, ma ho commesso il grave errore di infilare la mia famiglia nel primo capitolo del libro. Non appena si sono ritrovati sulla pagina  non ne hanno voluto più sapere di levarsi di torno, e hanno persino invitato i loro amici a dividere i capitoli con loro”.

Già dall’introduzione, si evince il tono umoristico con il quale Durrell ci racconta la sua infanzia – dai 10 ai 15 anni – trascorsa nella meravigliosa isola di Corfù con la sua numerosa famiglia: il fratello maggiore Larry (23 anni), scontroso e sarcastico, appassionato di arte e letteratura (che diventerà uno scrittore famoso); Leslie (18), appassionato di caccia e di barche; Margo (16), fissata con le diete; la loro mamma Louise (il cui nome viene rivelato solo in un capitolo perché è sempre chiamata la signora Durrell), vedova, amante del giardinaggio e della cucina; il cane Roger che accompagna in tutte le spedizioni sull’isola il nostro Gerry (come viene chiamato in famiglia), voce narrante.

Dalla piovosa e grigia Inghilterra, i Durrell si trasferiranno in Grecia in cerca di quel clima che secondo il fratello maggiore Larry permetterà a lui di scrivere poesie bellissime e sarà di giovamento alla salute dei suoi fratelli:

“Perché sopportiamo questo maledetto clima?” domandò all’improvviso facendo un gesto verso la finestra coi suoi obliqui ruscelli di pioggia. “Margo tutta gonfia come un piatto di porridge rosso… Leslie che va in giro con dieci metri di ovatta nell’orecchie… Gerry che pare che abbia il palato fesso dalla nascita… E guarda te: ogni giorno che passa hai un’aria più decrepita e stravolta”.

Mamma gettò un’occhiata al di sopra del grosso volume intitolato Ricette facili del Rajputana.

“ Neanche per sogno!” disse sdegnata.

“E invece sì”, insistette Larry “cominci a somigliare a una lavanderia irlandese… e i tuoi figli sembrano le illustrazioni di un’enciclopedia medica”.

A questo mamma non riuscì a trovare nessuna risposta veramente schiacciante, quindi si accontentò di dargli un’occhiata severa prima di tornare a rifugiarsi dietro il suo libro.

“Quello che ci vuole per noi è il sole”, continuò Larry.

Grazie all’aiuto del tuttofare greco Spiro, i Durrell nell’isola abiteranno – e cambieranno – ben tre ville. Arrivati a Corfù, dopo una breve sosta in un albergo senza bagno (alle rimostranze delle signora Durrell il direttore risponderà “Ma Madame a cosa le serve una stanza da bagno? Non c’è il mare?”), Spiro li accompagna alla loro prima casa corfiota. Mentre la macchina di Spiro conduce la famiglia Durrell alla villa, a noi lettori si comincia a mostrare il paesaggio straordinario dell’isola: lungo la strada, fiancheggiata da fichi d’India, ci appaiono vigneti, uliveti, grande ciuffi di canne zebrate. Arrivati alla curva di un pendio sopra il mare scintillante, protetta da un gruppo di cipressi, appare ai Durrell – ed a noi lettori – una piccola villa color fragola “come un frutto esotico che ammicchi tra il verde”. Corfù sembra dare il benvenuto ai Durrell ed a noi lettori, promettendo un soggiorno incantato:

“I cipressi ondeggiavano gentilmente nella brezza, come se per il nostro arrivo fossero intenti a dipingere il cielo di un azzurro ancora più vivido”.

Scopriremo ben presto che come è eccentrica la famiglia di Gerry, così lo sono i personaggi che i Durrell conosceranno sull’isola: il tassista greco Spiro, gentile e generoso, che prenderà a cuore tutti i Durrell (è convinto che gli inglesi siano tutti Lord!) e li aiuterà sempre; Lugaretzia, la vecchia governante ipocondriaca; il fantasioso professore Kralefsky, appassionato di ornitologia; i contadini corfioti…

E poi, protagonisti non secondari, ci sono gli innumerevoli animali che Gerry troverà e raccoglierà nelle sue spensierate spedizioni a Corfù ed ai quali dà addirittura un nome: la tartaruga Achille, il piccione Quasimodo, l’assiolo Ulisse (un piccolo rapace notturno); il geco Geronimo; lo scontroso gabbiano Alecko; due ulteriori cagnolini – Pipì e Vomito – che si aggiungeranno al cane Roger; le dispettose gazze chiamate Garze…

Una pletora di animali che crea confusione e disastri nelle ville della disordinata, strampalata, felice famiglia Durrell, ma che suscitano risate e divertimento nel lettore.

Tutto è raccontato con l’occhio ed il punto di vista di Gerry, bambino di 10 anni, che si trova a vivere in libertà in una sorta di paradiso terrestre che gli permette di alimentare la sua passione per gli animali, della quale da adulto farà una professione. Ampio spazio nella narrazione è quindi dedicato al racconto delle escursioni del ragazzo, alla descrizione di insetti, uccelli, rettili e dei… mammiferi di casa!

E poi c’è la natura incantata e selvaggia dell’isola, abbondante di vegetazione e di colori: vigneti, frutteti, fiori selvatici, magnolie

Dal romanzo, uno dei più amati che siano apparsi in Inghilterra negli ultimi 30 anni, è stato tratto un film nel 2005 ed è stata realizzata una serie TV in 4 stagioni. In Italia la serie è stata prima trasmessa da La Effe ed in seguito da Rai2, fino alla terza stagione. La quarta è inedita.

Un memoir lieve e divertente “La mia famiglia e altri animali”, raccontato con piglio umoristico, che rispecchia la vita prima della guerra, quando gli inglesi benestanti, di ritorno dalle colonie, conducevano un’esistenza rilassante, senza lavorare, dedicandosi soltanto a… vivere!

Il romanzo, in questo tempo sospeso che stiamo vivendo, rappresenta una lettura che ci dona serenità e leggerezza, riportandoci ai tempi felici dell’infanzia, alla libertà dell’estate, dei vestiti leggeri, alla natura che sempre ci sorprende e consola con la sua bellezza.

Ad illuminare l’intero racconto ed il nostro viaggio con la fantasia a Corfù c’è l’azzurro del mare, quel mare che, come scrisse Carl Gustav Jung, “è come la musica: contiene tutti i sogni dell’anima”.

 

La mia famiglia e altri animali

Titolo originale: My family and other animals

di Gerald Durrell

Casa Editrice italiana: Adelphi

Traduzione di Adriana Motti

Genere: Narrativa

Anno Pubblicazione in patria: 1956

Pubblicazione da Adelphi: 1975

Pagine: 354

 

GERALD DURRELL

Gerald (“Gerry”) Malcolm Durrell (Jamshedpur, 7 gennaio 1925 – Jersey, 30 gennaio 1995) è stato uno zoologo, esploratore e scrittore britannico. Fratello di Lawrence Durrell, affidò le memorie delle sue esperienze naturalistiche ad alcuni libri di carattere autobiografico nei quali unì, nella narrazione, lo spirito di osservazione dello scienziato alle doti dell’umorista, per descrivere con arguzia affettuosa animali ed esseri umani, sottolineando gli aspetti negativi dell’umanità. Tra le sue opere ricordiamo La mia famiglia e gli altri animali (My family and others animals, 1956), Incontri con animali (Encounters with animals, 1958), Luoghi sotto spirito (Fillets of plaice, 1972), L’uccello beffardo (The mockery bird, 1981), Il naturalismo dilettante (1982), Durrell in Russia (1986), in collaborazione con la moglie, e Gli aye-aye e io (The Aye-Aye and I, 1990), resoconto di un viaggio in Madagascar. Visse lunga parte della sua vita nell’isola di Jersey, dove creò un zoo-laboratorio per la protezione delle specie in via di estinzione.

 

Consigli  in pillole su altri libri (per adulti) ambientati al mare o nelle isole:

  • L’isola di Arturo, Elsa Morante, ed. Einaudi. Ambientazione: Procida;
  • Tu, mio, Erri De Luca, ed. Feltrinelli. Ambientazione: Ischia;
  • Il mare dove non si tocca, Fabio Genovesi, ed. Mondadori. Ambientazione: mare della Versilia;
  • Accabadora, Michela Murgia, ed. Einaudi. Ambientazione: Sardegna.

 

Per un tocco di leggerezza:

  • La ricetta segreta per un sogno, Valentina Cebeni, ed. Garzanti. Ambientazione: un’isola misteriosa nel Mediterraneo;
  • Due sirene in un bicchiere, Federica Brunini, ed. Feltrinelli. Ambientazione: l’isola di Gozo;
  • Isole Minori, Lorenza Pieri, ed. e/o. Ambientazione: isola del Giglio.

 

Consigli in pillole su libri per “ragazzi”, ambientati al mare o nelle isole:

  • Il signore delle mosche, di William Golding, ed. Mondadori. Ambientazione: un’isola disabitata;
  • Peter Pan, James M. Barrie (ed. Fanucci, Gribaudo, Classici BUR ecc. ). Ambientazione: l’isola che non c’è;
  • L’isola del tesoro, Robert L. Stevenson (ed. Feltrinelli, De Agostini, BUR Collana Ragazzi, Giunti Junior ecc.). Ambientazione: l’isola…del tesoro!;
  • Ventimila leghe sotto i mari, Julius Verne, Ambientazione: dall’Oceano Pacifico fino alle coste della Norvegia;
  • L’isola misteriosa, Julius Verne, (ed. Marsilio, Mursia ecc.). Ambientazione: isola fittizia nel sud Pacifico.

 

Libri e… bevande

Il caffè come con arte va preparato, così con arte va bevuto

(Ab del Kader, XVI sec.)

 

 

Per accompagnare la lettura di “La mia famiglia ed altri animali” e calarvi – almeno con la fantasia – nell’atmosfera tipica corfiota, vi consiglio un bicchierino (piccolo mi raccomando!) di una delle tre bevande tipiche:

  • la Tsitsibira, una bevanda dissetante preparata con succo fresco di limone, olio di limone, acqua, zucchero e zenzero tritato
  • l’Ouzo, liquore d’anice;
  • il Kumquat, un liquore dolce che si ottiene dai mandarini cinesi coltivati nell’isola dal 1924, grazie al viaggiatore e botanico Sidney Merlin che li portò dalla Cina. Corfù e la Sicilia sono gli unici luoghi in Europa dove si coltiva il mandarino cinese.

Ma se volete proprio “essere” – e non solo sentirvi – in Grecia, dilettatevi nel preparare un tipico caffè greco. Il caffè greco è simile a quello turco: entrambi infatti vengono preparati usando i fornelli e non vengono filtrati. Questo tipo di caffè si può definire anche arabico, cipriota, armeno o bosniaco, sebbene ci siano delle lievi differenze nella tecnica di preparazione in base al Paese. Il caffè greco è denso, schiumoso e viene preparato con grani di caffè che sono stati macinati per ottenere una polvere sottile. A differenza del caffè americano, quello greco è inteso per essere sorseggiato e gustato lentamente.

 

Ingredienti (Dosi per una tazza)

  • l di acqua; 1 cucchiaino colmo (2 g) di caffè greco; da ½ a 2 cucchiaini (2,5-10 g) di zucchero, a piacere

Preparazione

Usa i chicchi di caffè corretti. Il caffè greco è differente dagli altri sotto molto aspetti, a partire dalla varietà di chicchi di caffè. Vengono utilizzati quelli della varietà Arabica, leggermente tostati e macinati finemente. Il tipo di chicco, il grado di tostatura e la macinatura contribuiscono in egual modo a creare quel sapore unico che caratterizza il caffè greco.

Prepara il caffè in un briki. Si tratta di un pentolino in metallo utilizzato specificamente per preparare il caffè greco nel modo tradizionale. In genere ha la forma di una clessidra o di un calderone e un manico molto lungo. Il caffè greco viene preparato direttamente nel briki, che viene scaldato su un fornello a gas. Puoi usare anche un fornello elettrico

Servi il caffè in una “demitasse”. Si tratta di una tazzina simile a quelle usate in Italia per l’espresso, ma con una capienza leggermente superiore (circa 60-90 ml, mentre quella per l’espresso ha una capienza di 40-50 ml). Per tradizione la “demitasse” viene servita appoggiata su un piattino. Puoi cercare una “demitasse” in un negozio di articoli da cucina ben fornito, ma puoi anche usare una comune tazzina per il caffè espresso.

Dosa l’acqua. Tradizionalmente in Grecia si utilizza una “demitasse” per misurare l’acqua che serve a preparare il caffè. Riempila d’acqua e poi versala nel briki. Usando la stessa tazza in cui servirai il caffè avrai la certezza di prepararne la quantità corretta.

Aggiungi il caffè macinato e lo zucchero. Per ogni tazza di caffè che intendi preparare, misura un cucchiaino colmo di caffè macinato. A differenza di quello turco, non è prevista l’aggiunta di spezie, come il cardamomo, ma se vuoi puoi zuccherarlo. In base al grado di dolcezza che preferisci, aggiungi:

  • Niente zucchero per gustarlo forte e amaro (“sketos” in greco);
  • ½ cucchiaino (2,5 g) di zucchero per renderlo semi dolce (“me oligi” in greco);
  • 1 cucchiaino (5 g) di zucchero per una dolcezza media (“metrios” in greco);
  • 2 cucchiaini (10 g) di zucchero se ti piace dolce (“glykys” in greco).

Miscela e scalda il caffè. Mescola lo zucchero, l’acqua e il caffè nel briki per amalgamarli. Accendi il fornello, regola la fiamma a un livello medio e metti a scaldare il briki.  A mano a mano che il caffè si scalda, vedrai che iniziano a comparire delle bolle e una leggera schiuma in superficie. Non mescolare e non muovere il pentolino, per evitare di disturbare il caffè o di rovinare la schiuma, che è un elemento fondamentale della bevanda. Non lasciare che il caffè raggiunga l’ebollizione, altrimenti la schiuma presente in superficie scomparirà. Quando il caffè è prossimo al bordo del briki, rimuovilo dal calore.

Servilo nella “demitasse”. Dopo aver tolto il pentolino dal fuoco, versa immediatamente il caffè nella tazza, incluse la schiuma e la polvere sul fondo. Procedi lentamente per non rovinare la schiuma.

Attendi che la polvere di caffè si depositi sul fondo della tazza, prima di bere. Dato che il caffè greco non viene filtrato, è meglio aspettare un paio di minuti dopo che è stato versato nella tazza; in questo modo la polvere avrà il tempo di depositarsi sul fondo e potrai gustarlo senza ritrovartela in bocca

Bevi lentamente. Il caffè greco è pensato per essere sorseggiato e gustato senza fretta nell’arco di un paio d’ore. Per assaporarlo al meglio, bevilo a piccoli sorsi in modo che abbia il tempo di sprigionare tutto il proprio aroma. Al contrario del nostro espresso, che viene consumato quasi sempre di fretta, spesso stando in piedi di fronte al banco del bar, in Grecia il caffè va sorseggiato con molta calma, stando seduti a chiacchierare con gli amici, i familiari o i vicini di casa. Non bere i fondi di caffè rimasti nella tazza!

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Michela Scomazzon Galdi

Mi chiamo Michela e mi occupo di comunicazione e uffici stampa nel settore culturale perché credo che la cultura, oltre a donare bellezza, possa contribuire al dialogo interculturale e alla pace.

Promuovo e comunico i tuoi eventi culturali, rendendoli unici attraverso il fascino dei colori.