Di Michela Scomazzon Galdi

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Vado verso la natura per essere curato e guarito

e avere i miei sensi messi in ordine

(John Burroughs)

 

Tutti noi identifichiamo l’estate con l’astensione dalla routine, dagli oneri del lavoro e dai pensieri tristi. L’estate è allegria, creatività, felicità, ottimismo: emozioni che esprime l’arancio, il colore associato al mese di agosto.

Ma l’estate significa anche e soprattutto vacanze, relax ed immersione nel potere rilassante e rigenerante della Natura. Non fa differenza se abbiamo scelto come meta per la nostra villeggiatura il mare, la campagna, il lago o la montagna. Con il corpo libero da vestiti spesso necessariamente formali e scomodi, con le endorfine aumentate grazie alla maggiore presenza di luce, con la mente più rilassata, tutti noi torniamo in qualche modo “bambini”: leggeri, gioiosi, desiderosi di godere delle incantevoli bellezze offerte dalla natura e di trascorrere con familiari ed amici un tempo scevro da preoccupazioni.

Ma l’estate, con il maggior tempo libero a nostra disposizione, ci permette anche di ritagliarci qualche ora in più da dedicare alla lettura. Sediamoci comode: su una poltrona nella nostra stanza preferita (magari con accoccolati ai nostri piedi i nostri amati cani o gatti), su una bella spiaggia, o sull’erba di un prato, dopo una lunga passeggiata sui sentieri di montagna. L’importante, è avere la compagnia di un buon libro, come il romanzo che vi propongo per il mese di agosto: “Un’estate in montagna” dell’anglo-australiana Elizabeth von Arnim, autrice tra fine ‘800 ed inizi del ‘900 di ventuno opere di grande successo, oggetto di molti adattamenti cinematografici.

Il romanzo, uscito per la prima volta nel 1920, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri e ripubblicato nel 2018 dall’editore Fazi, è stato tradotto da Sabrina Terziani che ha avuto il merito di saper rendere le diverse sfumature del raffinato humour della von Arnim.

Un’estate in montagna” è scritto come un diario ed è ampiamente autobiografico, come è consueto nella produzione dell’autrice. L’io narrante, il cui nome non è mai menzionato ma evidente alter ego della scrittrice, narra che nel luglio del 1919, oppressa da una grande tristezza causata dagli orrori della guerra e dai lutti subiti, si rifugia tra i monti del suo chalet svizzero: in mezzo alla natura e nella solitudine spera di ritrovare la gioia di vivere:

Adesso voglio tranquillità.

Come una formichina malata stamani sono partita dal fondovalle per arrampicarmi sin quassù: che fatica l’ascesa fino a questa baita sul fianco della montagna; un luogo da cui manco dall’agosto del primo anno di guerra. Sono crollata sull’erba davanti alla porta, troppo stanca persino per ringraziare Dio di avercela fatta ad arrivare a casa.

Ed eccomi di nuovo qui, sola nella baita: un tempo era così piena di vita e di allegria che le pareti di legno sottile sembravano cedere all’intensità della gioia. Mai avrei immaginato che un giorno ci sarei tornata da sola. Quanto ero ricca d’amore cinque anni fa; e quanto sono povera e spogliata di tutto, adesso. Bè, in fondo non importa. Nulla importa. Sono troppo stanca. Voglio soltanto tranquillità”.

Elizabeth, che trascorre i primi giorni godendo del magnifico paesaggio, sdraiata sul prato osservando le nuvole, il colore dei delphinium di un blu intenso, la volta del cielo di un turchese sfumato di rosa, comincia a scrivere un diario nel quale racconta le sue giornate:

“Chissà perché scrivo queste cose. Immagino si tratti di non voler rimanere da soli con se stessi. Bisogna uscire e parlare con qualcuno; e se non c’è nessuno con cui parlare finisce che ci inventiamo un interlocutore”.

L’io narrante/von Arnim era solita negli anni passati a trascorrere il tempo nella baita con i suoi amici intellettuali. Ora si sente sola: in casa ci sono soltanto il tuttofare Antoine che insieme alla moglie hanno continuato a curare la baita ed il giardino, anche negli anni di guerra e nonostante l’assenza della padrona. Ma chi più di una scrittrice può istintivamente utilizzare il potere terapeutico della scrittura? Elizabeth, scrivendo, è come se riflettesse ad alta voce:

“Dal punto di vista fisico la solitudine è una benedizione, soprattutto dopo quello che è accaduto. Forse qui, da sola, riuscirò a ritemprarmi; forse basterà stare seduta su questi pendii fioriti e profumati di miele per guarire pian piano. Rimarrò seduta sull’erba e mi leccherò le ferite. Ho una tale voglia di rimettermi in sesto! E ho un tale bisogno di tornare a credere nella bontà”.

Elizabeth, alterna momenti nei quali riesce a rasserenarsi anche grazie ai paesaggi incantevoli delle Alpi svizzere, a fasi durante le quali dubita di poter riacquistare serenità e fiducia nella vita.

Nei momenti di maggiore ottimismo, la protagonista scrive: “l’unica cosa da fare con le proprie sofferenze passate è avvolgerle ben bene nel loro sudario, seppellirle e poi voltare le spalle alla tomba per guardare il futuro”.

Man mano che passano i giorni –  siamo arrivati ad agosto – a rasserenare Elizabeth non sono soltanto gli splendidi paesaggi montani, le albe ed i tramonti dai mille colori. C’è anche il suo giardino ricco di fiori e di colori: i delphinium, i garofani, gli iris viola con il loro “delizioso aroma di miele che è il profumo stesso dell’estate”. E poi ci sono le rose rampicanti cremisi, “brillanti contro l’azzurro intenso del cielo”; i gigli regalati dalla maman di Antoine e, vicino alla porta della baita, una macchia di lavanda in piena fioritura.

Scrive Elizabeth: “ se sapessi dipingere mi metterei seduta e passerei la giornata intera a farlo, ma non ne sono capace, perciò quel che vedo cerco di affidarlo alla carta. Scrivere mi dà piacere, mi fa compagnia. Se non fossi sola credo che non lo farei. Probabilmente sfinirei me stessa ed i miei amici a forza di attirare la loro attenzione sulle mille meraviglie che ci circondano”.

Arriva anche il giorno del compleanno di Elizabeth, triste perché lo trascorrerà da sola. Non potendo ricevere regali, decide di farne uno lei: concede un giorno libero ad Antoine ed alla moglie.

 

Tutte le grandezze di questo mondo

 non valgono un buon amico

(Voltaire)

 

Ma ognuno di noi ha potuto sperimentare che la vita a volte ci sorprende in positivo proprio quando meno ce lo aspettiamo. E nel giorno del compleanno di Elizabeth, al posto di “ore ed ore di intollerabile silenzio e solitudine”, arrivano alla baita due donne che si sono smarrite dopo una lunga e faticosa camminata.

Sono due sorelle, la più anziana Mrs Kitty Barnes e la più giovane Mrs Dolly Jewks: “le levatrici della Provvidenza”!

Pur di non rimanere sola il giorno del suo compleanno, la protagonista invita le due donne  prima a rinfrescarsi con limonata e biscotti e successivamente a fermarsi anche per il pranzo.  Ma contrariamente ai desideri della padrona di casa, che dopo tanta solitudine vorrebbe tanto chiacchierare, le due ospiti cadono in un lungo sonno ristoratore. E la von Arnim, con la sua impareggiabile ironia, ci racconta tutti i tentativi di Elizabeth la quale, non osando per educazione svegliare le sue ospiti ma meravigliandosi al contempo della durata del loro “riposino”, si domanda:  “cosa può fare una padrona di casa che si ritrova delle ospiti ostinatamente addormentate?” E così, per passare il tempo, prima rassetta la cucina, poi si mette a leggere, in seguito esce in giardino…

Finalmente le ospiti si svegliano ed Elizabeth commenta: “Abbiamo preso il tè, mentre la più matura parlava del fastidio che temeva di avermi causato e della vergogna che provava per essersi addormentata, nonché della gratitudine per quella che definiva un’ospitalità paziente e prolungata”.

L’intera scena è un divertente racconto, intriso di quelle formalità che oggi forse ci fanno un po’ sorridere. Ma non dobbiamo stupirci: ricordiamoci che il romanzo è ambientato nei primi anni venti del 1900 e la forma, le convenzioni, le buone maniere, erano imprescindibili!

Dopo il tè è ormai pomeriggio inoltrato e la padrona di casa, temendo che le due donne si potessero di nuovo perdere sulla via del ritorno a causa del buio imminente, le invita a restare per la notte.

Andando avanti nella godibile lettura, scopriremo che l’io narrante/Elizabeth chiederà a Mrs Barnes e Mrs Jewks di rimanere con lei alla baita per tutta l’estate. In una prima fase, soprattutto Mrs Barnes, l’ospite più anziana, rimane chiusa nella sua riservatezza e le conversazioni si basano quasi esclusivamente sulla bellezza del panorama e su parecchi convenevoli, tanto che Elizabeth scriverà saggiamente nel suo diario “ il fatto è che io non credo a questa cosa di starsene sulle proprie. La vita è troppo breve per sprecarla facendo amicizia a passo di lumaca”.

Con difficoltà e ritrosie varie ma pian piano le diffidenze cadranno e tra le tre donne nascerà una bella amicizia.

E, per una delle tre, arriverà anche l’amore.

In “Un’estate in montagna” i personaggi sono delineati con un sottile acume psicologico, i dialoghi sono vivaci, i toni brillanti. Il romanzo si rivela un inno all’amicizia ed alla solidarietà, soprattutto tra donne, il cui coraggio di fare scelte anticonvenzionali le condanna all’emarginazione sociale.

La von Arnim, nonostante tratti in questo libro anche temi “forti” come i nazionalismi, il patriottismo, l’insofferenza nei confronti della guerra, non abbandona il suo stile ironico e “leggero”. E sull’infelicità raccontata nella prima parte del romanzo, ben presto trionfa la forza della vita e l’autrice non tradisce neanche questa volta il nostro bisogno di sorrisi.

 

Elizabeth von Arnim, pseudonimo della scrittrice  Mary Annette Beauchamp, nacque nel 1866 a Kirribilli Point in Australia,  in una famiglia della borghesia coloniale inglese di Sydney. Cugina della scrittrice Katherine Mansfield, visse a Londra, Berlino, in Polonia e, allo scoppio della seconda guerra mondiale (1939), si trasferì definitivamente negli Stati Uniti, dove morì nel 1941.

Si sposò due volte: la prima nel 1891con il conte tedesco Henning August von Arnim-Schlagenthin, figlio adottivo di Cosima Wagner, conosciuto durante un viaggio in Italia, dal quale ebbe 5 figli. Il matrimonio non fu felice, tanto che la scrittrice farà riferimento all’oppressivo primo marito con i soprannome “l’uomo dell’ira”. Rimasta vedova nel 1910, ebbe una relazione con H.G. Wells fino al 1913. Nel 1916 sposò in seconde nozze il duca John Francis Stanley Russell, fratello maggiore del filosofo Bertrand Russell ma anche questo matrimonio fu sfortunato.

La carriera di scrittrice iniziò con la pubblicazione nel 1899 de Il giardino di Elizabeth, un’opera semi-autobiografica anonima in cui l’io scrivente si chiamava “Elizabeth”, senza cognome. Il romanzo ebbe immediatamente successo e fu ristampato più volte.

Successivamente scrisse altri 20 romanzi, firmati «by the author of “Elizabeth and her German garden”»; in seguito firmerà le sue opere più semplicemente come “Elizabeth”. Si farà chiamare “Elizabeth” anche in famiglia.

 

Un’estate in montagna

di Elizabeth von Arnim

Titolo originale: In the mountains

Traduttore: Sabina Terziani

Editore: Fazi

Anno Pubblicazione (per Fazi): 2018

Pagine: 189

 

Libri e tè

 

L’amore e l’amicizia non si chiedono come

l’acqua ma si offrono come il tè

(Detto Zen)

 

Il legame tra libri e tè è indissolubile, quasi un binomio magico. Oltre ad amare profondamente la lettura, io adoro bere il tè soprattutto mentre leggo e confido che… piaccia anche a voi! Per tale motivo, ho pensato di affiancare uno specifico tè ad ogni libro che vi proporrò.

Per il romanzo “Un’estate in montagna” vi consiglio un tè nero della Twinings: “Orange e Cinnamon”, con l’inconfondibile gusto speziato della cannella che incontra il dolce ed energetico sapore dell’arancia. I master blender di Twinings hanno così dato vita ad una miscela appagante e profumata. Nell’assolato agosto, vogliamo berlo insieme nel salotto virtuale di Sognosolacolori?

Con l’occasione, desidero ricordarvi che la cannella è una spezia dalle mille virtù terapeutiche: contiene ferro, calcio, potassio, zinco, selenio, rame, fosforo e manganese; vitamine del gruppo B, vitamina C, A, E, K.  Ottima sia nel periodo invernale che nei mesi caldi, è un potente antiossidante, per cui contrasta l’invecchiamento cellulare e aiuta a rafforzare il sistema immunitario; un potente battericida e antimicotico; migliora la digestione e regola la glicemia, riducendo gli attacchi di fame nervosa dovuta a picchi e cadute dei livelli di zucchero nel sangue (ecco perché la cannella può essere utile nel controllo del peso). Inoltra, stimola il sistema nervoso, favorendo la concentrazione e la memoria ma anche la creatività e l’ispirazione.

Quando servire: da gustare caldo, senza zucchero, latte o limone. Il tè all’arancia e cannella è ottimo nel pomeriggio o dopo cena.

Tempo di infusione: 3 – 4 minuti.

Disponibile in: confezioni da 25 filtri.

Sia che siate al lavoro o già in ferie, ora vi saluto augurandovi un agosto sereno e rilassante. E quale relax migliore se non quello di donarsi due ore tutte per noi? Sediamoci comode, con accanto una gustosa tazza di tè e la compagnia di un buon libro che ci faccia sorridere e riflettere come “Un’estate in montagna”.

E che la pace interiore e la guarigione dell’anima siano con noi!

 

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Michela Scomazzon Galdi

Mi chiamo Michela e mi occupo di comunicazione e uffici stampa nel settore culturale perché credo che la cultura, oltre a donare bellezza, possa contribuire al dialogo interculturale e alla pace.

Promuovo e comunico i tuoi eventi culturali, rendendoli unici attraverso il fascino dei colori.